Infatti, quasi tutti dopo aver sostato qualche po’ a guardare gli articoli esposti nelle vetrine, sbirciando i prezzi, peraltro impresa difficilissima, entravano nei negozi e ne uscivano con colorati e griffati sacchetti di carta con l’aria felice e soddisfatta. Guardando qua e la ci siamo accorte che davanti ad un negozio c’era la fila, pensando che fosse dovuto ai prezzi vantaggiosi abbiam convenuto d’approfittare. Arrivate davanti alla vetrina con qualche sbracciata, era tanto invitante che abbiam cercato i prezzi,oh, non c’era un prezzo visibile, se non con la lente d’ingrandimento. Perplesse siamo entrate, guarda qua, vedi la, palpa e controlla, mia sorella poi abituata a stare tra vetrini e microscopi è una pignola terribile, sbalordite ci siamo rese conto che erano tutti “tarocchi”si, griffe famose taroccate, vendute a più non posso, il bello è che la gente “straniera” come noi sapeva, c’era venuta di proposito. Non ci siamo comprate nulla, nessuna delle due avrebbe avuto il coraggio di indossare o regalare un oggetto falso. Uscite dal negozio ridendo abbiam continuato a scrutare per vedere se c’era l’ombra di qualche negozietto dove trovare almeno un oggetto tipico da riportare come trofeo, neanche l’ombra, l’unica cosa tipica, in quella strada, erano solo i luoghi di ristoro.
Nel tornare a casa ci è venuto spontaneo fare qualche considerazione sociologica, qualche parallelo costrittivo imposto dalla vita, tipo: un lavoro che obbliga alla visibilità esterna ci rende merce. Di conseguenza ci costringe a vestirci, lustrarci, impacchettarci per farci apprezzare, a infilarci dentro una bella lattina con tanto di etichettatura distinguibile da lontano se vogliamo che qualcuno ci considera. Dobbiamo scotolarci e confezionarci secondo le tendenze. Si, dobbiamo essere “ trend “ nel gestire, nel sorridere e nel comunicare per essere ascoltate, non essere scavalcate, messe nel retrobottega. Dobbiamo renderci involucri esteriori perfetti e appetibili per esistere. Non importa se siamo un cliché, un barattolo vuoto, una scatola senza contenuto, un pacchetto di cartaccia, ciò che conta è essere commercialmente ratificate, approvate, riconosciute degne di stare sullo scaffale della vetrina, spiaccicate in mezzo a tanta altra merce che regola il sistema.
Basta apparire un contenitore convincente per convincere che il contenuto vale.!!!
Tutto questo sforzo, ovviamente costa sofferenza, fatica ed energie, grava spirito, mente e corpo, accumula tanta rabbia repressa che può triturare e ingoiare mentre ci si adatta. Ci trasforma nello stereotipo efficiente privo di ariosa giocosità e libertà al pari degli oggetti taroccati, in mostra dietro lustri cristalli. Ormai si apprezza la vetrina, che sia rappresentata da uno stupido trono, una casa artificiosa, un siparietto domenicale dove qualunque baggianata dici diventi eroe, ti strapagano per mezz’ora di mutismo, fai quattro salti in “padella” e voilà sei un mito, un immagine sacra da portare in processione da una rivista ad un'altra, da una discoteca a un calendario. E il resto? Il resto non conta.....
Ogni tanto qualcuno scoppia, non resiste più e allora grida:
Vita, vita, vita
dove m’hai sbalzata?
In vetrina
mi sento schiacciata
Apri
maledetta
la porta barrata
Fammi uscire
nel reame incantato
Dove
io possa giocare
beata
Abbandonarmi
all’abbraccio assolato
Altalenar
sulla falce lunata
Vagabondar
fra grattacieli e piedi
Dormire
vinghiata al marciapiede
Destarmi
ammaccata da pedata
Vita, vita, vita
sii generosa
Spalanca la porta
vetrosa
Lascia ch’io vada
leggera
Danzi e volteggi
rotoli sudata
tra i fili
ingarbugliati della strada
Vita, vita, vita
in vetrina mi sento stretta
Rompi i vetri
maledetta!