mercoledì 31 marzo 2010
martedì 30 marzo 2010
venerdì 19 marzo 2010
NEL SILENZIO PAPA'
nel silenzio del giorno
percepisco
la tua voce
nel silenzio della notte
percepisco
il tuo respiro
nel silenzio del pensiero
percepisco
il tuo amore
nel silenzio degli occhi
percepisco
l'imparzialita'
nel silenzio delle labbra
percepisco
il richiamo severo
ti vedo
a fianco papà
nel silenzio del sole
percepisco
l’indissolubile
bellezza
d’un amore filiale
la gioia
di trovarsi
oltre il silenzio
in verità
chiusa nel silenzio
dei passi
in luce d’ aurora
papà
ti ritrovo sempre
nel silenzio
quieto d'un monte
di un fiore
nel vento
che mi sfiora
ogni volta
che ho urgenza
di te
ti ritrovo nel silenzio
del cuore
papà
....................................................
dedicata a tutti i papa'
venerdì 12 marzo 2010
PRESENZA
C’è moltissima letizia
Nel mio oggi
So..che cammini al mio fianco
I tuoi passi sono impercettibili
La mancanza di materia
Non annulla la presenza
La parte migliore resta
C’è moltissima gioia
Nel mio oggi
So..che
Il tuo pensiero mi segue
La distanza dei corpi è solo
Un fatto marginale
Una..convenzione
Impossibilità di vederti
Correre e affannarti
Stringere corpi amati
Sfamarti di tenerezze
C’è moltissima serenità
Nel mio oggi
La tua voce mi giunge
Placa la costrizione
Dell’impossibilità di toccarti
Parlare e scongiurare
Non partire, non andare
C’è moltissima fiducia
Nel mio oggi
Seguo il vento
Vivo nell’attesa
Di reincontrarti
Fuori dal tempo.
A te che da quel dodici marzo sei volato oltreilrecinto
mercoledì 10 marzo 2010
L'OROLOGIO QUADRATO
Per anni la strada ho divorato
Con l’occhio incollato
All’orologio quadrato
Ho viaggiato e viaggiato
Galoppato e sbarellato
Inferi sentieri traversato
Assediati da filo spinato
Ho visto e scrutato
Albe sbiadite e irrigidite
Cieli chiari e cieli infocati
Saltato pasti e ingozzato
Caffè bollenti e chiodi molesti
Ho visto e scrutato
Crepuscoli bruni e notti incavate
Volti bianchi e volti crucciati
Piedi scattanti e piedi bloccati
Con l’orologio quadrato
Incollato a lacrime e naso
Per anni la strada ho divorato
Ho traversato anse e serpai
Nebbie e veleni infiltrati
Quartieri sovrappopolati
Paesi con muli sbandati
Ho visto e osservato
Sorrisi stirati e bimbi assonnati
Alberi verdi e alberi impalati
Tormente infide e afe sgobbate
Piagge rocciose e lande nervose
Superato spaventi e sbandate
Grovigli di serpi e fiumi assetati
Venti furiosi ed esaltati curiosi
Per anni la strada ho divorato
Con l’orologio quadrato
Incollato al cuore spezzato
Ho viaggiato e viaggiato
Oltrepassato oceani placati
Mari rabbiosi e deserti turbinosi
Campi rigogliosi fiumi nebbiosi
Giardini infiorati e boschi festosi
Scorto anime squartate
Volti crudeli e ghigni piegati
Occhi lucenti e mani serrate
Per anni la strada ho divorato
Incollata al vetro sabbiato
Ho viaggiato e viaggiato
Col mio orologio quadrato
HO scavalcato filo spinato
Violentato tempo e ragione
Ingozzato polvere e delusione
Domandato e imprecato
Vegliato e digiunato
Pianto e defecato
Come un vecchio soldato
In trincea appostato
Con l’occhio incollato
Al nemico giurato
Inflessibile logorio d’un tempo
Comandato da travaglio e fiato
Avverso a soste e passioni
In nome d’un dovere esaltato
Da materno senso persuaso
Ho viaggiato e viaggiato
Col mio orologio quadrato
Volteggiato tra forre e precipizi
Varcato confini e pregiudizi
Sfidato poteri e avventurieri
Cambiato stile amanti e pareri
Consumato mille pensieri
Con l’occhio incollato
Al mio orologio quadrato
Per anni la strada ho divorato
Scorticando ogni illusione
Ho rotto l’orologio quadrato
La strada mi ha divorato
Non sono parole a caso, sono la sintesi di un pezzo di vita reale d'una donnamadre. L'’orologio era l’ incubo giornaliero di un lavoro dai modi e ritmi sfrenati lontano da casa
martedì 2 marzo 2010
L'IMMAGINE DELLA VERITA'
La donna raggomitolata nel suo scialletto d’un colore imprecisato, stinto dagli anni e dai lavaggi, immobile come una cariatide prima mi guardò dal bordo della fontana, mentre frettolosa attraversavo la piazza immersa nei miei mille pensieri, poi con una voce imprecisata che sapeva di remoto e d’avvenire disse: ehi, senti tu, avvicinati, ho da farti una domanda. Sai dirmi dove trovo l’immagine della verità? Io l’ho cercata in uno specchio opaco, in vette inaccessibili, in un pozzo senza acqua e fondo, non l’ho trovata. nessuno l’ha riflessa.
Mentre stranita dalla richiesta cercavo una risposta, la donna con l’occhio fisso all’orizzonte con una mano agitò il suo scialletto, scoprì uno specchio che teneva stretto con l’altra al petto, poi senza darmi il tempo di articolare un suono vocale iniziò a raccontare:
“Ho cercato l’immagine della verità in uno specchio; non l’ho vista riflessa, troppo grigio, opaco e appannato dal mio fiato.
Allora ho cercato la verità nei riflessi dell’acqua d’una sorgente; non l’ho vista riflessa, troppo limpida e chiara.
Sono andata al pozzo a cercarla, non l’ho vista riflessa, troppo profondo e nero.
Non mi sono arresa, a rischio della vita son salita e salita fin la vetta più alta del pianeta; c’era la nebbia che offuscava la vista e la verità non l’ho vista.
Son scesa negli abissi; c'eran troppi pesci che guizzando scomposti balucavano i mie occhi e l'immagine della verità si è dileguata nell'acqua fosca
Son tornata caparbiamente al pozzo; mi sono sporta oltre misura per vedere se almeno c’era una goccia che riflettesse l’immagine ideale della verità, inutile, era privo di acqua che potesse acchiappare un fil di luce per diradare la mia caligine.
Allora scartata ogni logica ho messo l’immagine della verità al di sopra di tutto e per trovarla ho frugato in ogni dove, prima seguendo vie piane, poi quelle contorte e strane, infine quelle caotiche piene di alterazione dove ho calpestato a mano a mano quello che accortamente avrei dovuto pestare.
Per trovare quell’immagine che mi aprisse i cancelli della verità ho scartato il divino per abbracciare il meschino. Ho buttato anni di vita per donarla a chi ci giocava. Mi sono fatta marionetta volontaria di chi non sapeva animarla, mi sono fatta ingannare, mutilare, deturpare da chi non aveva regole e rispetto umano. Ho lasciato che anima e corpo si abbandonassero senza riserve offrendo la possibilità a chi voleva di approfittarne. Non ho saputo custodire una molecola di me. Ho permesso di togliermi volontà, respiro. Ho permesso di farmi divorare, succhiare ogni fluido di linfa. Ho accettato senza condizioni che pioggia, grandine, fulmini e tuoni potessero colpirmi. Ho offerto in olocausto me stessa a chi voleva distruggermi, polverizzarmi.
Vedi, lo specchio che oggi è qui nelle mie mani è argenteo, brillante; il sole lo illumina, imporpora la cornice dorata e il mio volto che le sta di fronte mentre cerca di carpire l’insondabile verità dell’altro volto. Ma nessuna immagine, nessuna verità, nessun volto riflette. “
Sai dirmi tu il perché?
La guardo strabiliata. Nessuna immagine può riflettere lo specchio. E’ nero come la pece.
All’improvviso il volto in cerca di verità perde consistenza, evapora come fosse in una buca piena di acido.
Non so se ho captato le rifrazioni interrogative della cariatide immobile vicina alla fontana, raggomitolata nel suo scialletto nero e lo specchio stretto al petto o quelle di uno spettro distrutto da una ricerca vana. So che la verità è una cosa strana, un’immagine ideale che non si trova in nessuna strada e la donna dalla voce senza passato e avvenire s’è dissolta prima che potessi darle la mia risposta.